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Perfezionismo per Passaggi Psicologici (Rimini 24/9/2023)

Ho voluto chiedere sui miei canali social – A cosa pensate quando sentite parlare di perfezionismo? – , perché ritengo che nell’ambito della psicologia sia importante decostruire alcune false credenze, partire dal definire cosa non è qualcosa per arrivare poi a definire cos’è.
Quando si parla di perfezionismo è facile cadere in errore perché l’aggettivo – perfezionista – definisce, nell’accezione comune, la persona che si impegna, attenta ai dettagli, precisa, qualità sono generalmente rinforzate come positive, utili, convenienti.

Quando parliamo di perfezionismo in clinica, invece, ci riferiamo alla tendenza a spostare continuamente il nostro obiettivo più in là, fino ad avere standard eccessivamente elevati, col fine ultimo della perfezione, che però non è un punto d’arrivo, ma un’idea soggettiva. La mia perfezione non è la perfezione di qualcun altro. Quindi cos’è che sto perseguendo?
Chi ha questa tendenza è possibile che, al contrario di quello che spesso si pensa, non riesca a raggiungere l’obiettivo o il risultato atteso perché ogni obiettivo raggiunto e ogni risultato ottenuto non coincidono con la propria idea, grossolana, poco definita, di perfezione. Per questo motivo, la procrastinazione è un tratto tipico delle persone con perfezionismo.

Il perfezionismo clinico non è una malattia. È una condizione, un atteggiamento mentale, una modalità attraverso la quale interpretiamo la realtà esterna (cosa deve accadere, come si devono comportare gli altri) e quella interna (come mi devo sentire, cosa devo provare). È una tendenza a essere rigidi, nell’interazione con l’ambiente e nel dialogo interiore, che si manifesta sotto forma di preoccupazioni che insorgono in modo automatico.

Perché ne parliamo?
Ne parliamo perché è un fattore di rischio per l’insorgenza e il mantenimento dei più comuni disturbi mentali nella popolazione adulta: disturbi del comportamento alimentare, disturbi d’ansia, disturbi dell’umore, disturbi ossessivo-compulsivo di personalità.

Un fattore di rischio è una condizione che risulta statisticamente associata a una malattia o a un disturbo.
L’obiettivo della promozione del benessere in psicologia è quello di ridurre l’incidenza dei fattori di rischio e potenziare, invece, i fattori di protezione.
È importante, ma non è sufficiente individuare le possibili cause di una condizione di malessere, è necessario capire cosa fare per promuovere alternative valide e lo si può fare a più livelli, prima che  il disordine insorga, prima che si manifesti o, una volta insorto, perché non si cronicizzi.


Il ruolo delle due A – Autostima e Autoefficacia
Il desiderio di migliorarsi o di mantenere standard di rendimento elevati non è necessariamente un sintomo di perfezionismo. Pensiamo a uno studente universitario. Desiderare di ottenere il voto più alto a un esame non è, di per sé, sintomo di perfezionismo. Lo diventa quando il valore personale percepito (l’autostima) è legato a quell’obiettivo. In tal senso, chi ha bassi livelli di autostima tenderà a porsi standard eccessivamente elevati per sentire di essere una persona di valore, ma se l’obiettivo è continuamente spostato anche la possibilità di riconoscere il proprio valore sarà rimandata.
Mi capita spesso di parlare con persone insoddisfatte anche del voto più alto e quando chiedo perché la risposta più comune è: perché ho preso un bel voto, ma la prestazione sarebbe potuta essere migliore. Mi sono agitata o mi sono agitato. Altra caratteristica del perfezionismo è l’attenzione selettiva agli errori.
Diceva Ornella Vanoni in una bellissima canzone Senza errori non si ha mai felicità”.
Le conseguenze sul piano comportamentale del perfezionismo, come la già citata procrastinazione, l’evitamento o l’eccessiva organizzazione che rischia di trasformarsi in doverizzazione, possono ostacolare il percorso verso il raggiungimento degli obiettivi, minando la percezione d’autoefficacia.

Da dove origina
La causalità, in psicologia, è sempre multifattoriale, non esiste causalità diretta – poiché è successo questo, allora accadrà questo. Quando ci si concentra sulle cause non è mia un tentativo di individuare colpevoli anche perché il genitore perfetto non esiste.

  • Componente genetica (le ricerche sui gemelli suggeriscono che la genetica contribuisca allo sviluppo del perfezionismo dal 24% al 49%. Basandoci solo sulla percentuale si osserva che l’ambiente influisce maggiormente.
  • Apprendimento in famiglia
  • Atteggiamento genitoriale eccessivamente critico
  • Genitori con tendenza al perfezionismo, appreso quindi per imitazione
  • Rinforzo sul valore personale in base alla performance
  • Accudimento condizionato al risultato raggiunto
  • Rinforzo sociale

Il ruolo dei social
Ritengo sia necessario fare una premessa: non credo che i social debbano essere demonizzati. Quello su cui ci si interroga è: esiste la possibilità di utilizzare i social consapevolmente? Personalmente ritengo di sì, ma è sempre più complesso e idealmente l’educazione all’uso consapevole dei social deve avvenire prima che si approcci da autodidatti.

Cosa fa il social? Vende l’illusione di una perfezione universale e possibile.
Sono un’appassionata fruitrice di social, almeno dal 2010 quindi ho un po’ di esperienza da osservatrice. Quello che ho notato è che se fino a qualche anno fa quello che il social faceva era vendere un’idea di perfezione realizzabile soprattutto dal punto di vista dei canoni estetici (penso all’avvento dei primi filtri per modificare le foto su Snapchat poi Instagram con le stories), alla quale oggi s’aggiunge la tendenza a mettere alla gogna chi sbaglia, tendenza che induce a credere di non poter sbagliare, che rinforza l’idea di non dover commettere errori. Il perfezionismo dei valori, delle opinioni, delle preferenze. Un perfezionismo che annulla la complessità e minaccia lo sviluppo del pensiero critico, in virtù di quello che si ritiene sia giusto pensare.

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