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Dalla negazione al negazionismo

La negazione, o diniego, è un meccanismo di difesa tipico della prima infanzia che ben riflette il pensiero magico dei bambini piccoli: negare una realtà sgradita equivale a eliminarla.
 
Una strategia individuale divenuta, negli ultimi anni e a causa dei social, il fianco prestato alla più becera propaganda. 
 Lo abbiamo visto durante l’emergenza sanitaria; abbiamo ipotizzato che, chi negava l’esistenza del virus, lo facesse per la paura di dover ammettere che avrebbe potuto esserne vittima. Abbiamo esperito le enormi difficoltà incontrate nel tentativo di convincere le persone dell’esistenza di qualcosa di rilevabile, ma non osservabile. Nostro (e loro) malgrado, abbiamo assistito alla possibilità che la presunta difesa diventasse un concreto pericolo di morte quando qualcuno si è opposto alle cure e alla prevenzione. La pandemia ci ha colti impreparati e scorgere gli effetti del diniego ci è sembrata una novità.

La negazione è contrapposizione, polarizzazione. Se soggetto A dice a e io non mi fido di soggetto A, allora dovrò dire necessariamente b perché se a non è la certezza assoluta allora b sarà sicuramente la verità. E poco importa se sia solo — la mia verità — perché io ho un atavico bisogno di credere che la mia verità sia certezza, che i miei pensieri siano veri. Questo, ancora una volta, mi protegge dal dubbio, dalla confusione. Mi illude di conoscere perfettamente la realtà che spero di poter in qualche modo controllare.

Siamo abituati a dividere il mondo in buoni e cattivi, quando sarebbe decisamente più conveniente imparare a dividerlo in  chi pensa e dice cosa – e perché. Se considero A il protagonista buono della vicenda allora sarò più portata a pensare che A stia dicendo la verità, ad applaudirlo, a chiedere che si faccia quello che A chiede di fare. E se poi A, che sta combattendo una guerra, si collega con una piazza colma di persone riunite in favore della pace chiedendo, di fatto, di aiutarlo a difendersi, applaudirlo significherà tradire lo stesso ideale che ci ha fatto scendere in piazza. L’essere umano non è coerente per natura, ma, nel tentativo di trovare quella coerenza che tanto desidera, diventa profondamente contraddittorio.

Il diniego applicato alla guerra non ci è nuovo. “Alcuni negazionisti sostengono che poiché non esiste un solo documento che descriva il piano dell’Olocausto, né un documento firmato da Hitler che ne ordini l’esecuzione, esso non sia che una gigantesca truffa.” https://encyclopedia.ushmm.org/content/it/article/holocaust-deniers-and-public-misinformation

Dalla negazione al negazionismo. Gli attentati dell’11 settembre, la morte di artisti di fama mondiale, persino Lady Diana ci è piaciuto pensare fosse ancora viva. Di solito si tratta di eventi che ci vengono presentati in un’edizione straordinaria del telegiornale, che impattano in modo significativo con la nostra sfera emotiva, un impatto così inaspettato e violento che allontanarlo è il minimo che possiamo provare a fare.

Possiamo davvero giustificare ogni forma di negazionismo collettivo con la sola paura di accettare gli orrori del mondo? Personalmente, non credo. Poteva valere fino a qualche tempo fa, ma non oggi, in un mondo che è un bar sconfinato, davanti al quale, ogni persona che passa, racconta la sua verità e se ne va prima che qualcuno possa instillare il dubbio. Ipotizzo anche che il tentativo di portare alla luce le teorie del complotto con l’intento di smentirle, sortisca l’effetto opposto, soprattutto per un motivo, spesso trascurato: pochi aprono l’articolo, molti leggono il titolo. Il titolo però non basta a mettere in evidenza la contraddizione e il danno è fatto.

L’invenzione della foto ha fatto sperare in un avvento dell’oggettività storica. Si immaginava che essa potesse diventare la continuatrice non solo della pittura —a sua volta soggettiva— ma della memoria intera, nel suo oggettivo insieme.

– Luigi Zoja, Vedere il vero e il falso

La verità è che la nostra mente è fallibile, cade molto facilmente in errore. Riteniamo i nostri pensieri veri, reali, verosimili, una spiegazione assolutamente coerente col dato di realtà. L’algoritmo sa come funziona la nostra mente, i potenti del mondo lo hanno imparato.

Lo hanno imparato così bene che la madre di un ragazzo ucraino che è anche moglie di un uomo russo, non sa da che parte stare perché, ambo le parti, ognuno è convinto di essere nel giusto e difende, con le armi, la sua verità.

L’unica difesa adattiva è la coltivazione del dubbio, in un mondo che non è mai stato perfetto e che mai lo sarà. Un mondo in cui la verità assoluta non esiste.

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