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Dal modeling al marketing: quando l’esempio diventa un prodotto

La lezione di Pilates rappresenta per me molto più di un semplice momento di attività fisica. È uno spazio che dedico al benessere del mio corpo, ma è anche, talvolta mio malgrado, un tempo mentale di introspezione. In questo contesto, accade spesso che emergano schemi disfunzionali, modalità automatiche di pensiero o comportamento che, nel silenzio e nella lentezza del movimento, si rivelano.
Succede ogni volta che l’insegnante conta le ripetizioni e arriva a 7, quando anziché pensare che ne mancano solo tre penso ne manchino  ancora  tre o quando mi invita a fidarmi di quello che lei pensa io sappia fare più che di quello che do per scontato non riuscirei a fare. Ho condiviso alcuni di questi modelli sui miei canali social e i numerosi messaggi ricevuti in risposta mi hanno spinta ad ampliare la riflessione. Il movimento e l’allenamento non sono soltanto strumenti per mantenere o migliorare la salute fisica: sono anche veicoli preziosi per la regolazione emotiva, la gestione dello stress e la costruzione di una maggiore consapevolezza di sé.
Eppure, nel dialogo con chi mi segue, è emerso quanto siano comuni le resistenze al movimento. Spesso non ce ne rendiamo conto, ma l’evitamento dell’attività fisica può nascondere conflitti profondi: il timore di non essere abbastanza, il bisogno di controllo, il giudizio verso il proprio corpo, la difficoltà a concedersi uno spazio di cura. Al tempo stesso, quando ci permettiamo di muoverci in modo consapevole, senza forzature o aspettative irrealistiche, si apre la possibilità di abitare il corpo con maggiore autenticità e presenza.

Bandura e altri teorici dell’apprendimento sociale hanno evidenziato come osservare un comportamento possa facilitarne l’apprendimento. Tuttavia, mi chiedo se questo processo non stia mutando, al punto da richiedere una nuova concettualizzazione: non più apprendimento per osservazione, ma apprendimento per idealizzazione.
Nel mondo contemporaneo, l’osservazione mediata dalla tecnologia ha perso la sua spontaneità e immediatezza, diventando oggetto di un’esposizione filtrata e performativa, spesso finalizzata alla vendita. Le proposte di allenamento, di benessere, di cura di sé, sono onnipresenti: video su YouTube, sponsorizzazioni su Instagram, banner pubblicitari, influencer del fitness…, ma se tutto questo fosse sufficiente, se bastasse la disponibilità dell’offerta, ci aspetteremmo di vivere in un mondo dove l’attività fisica è la norma. Spesso motiviamo la resistenza con la pigrizia, ricercando una semplificazione ingannevole o un comodo alibi. Dire “sono pigro” evita di fare i conti con pensieri e schemi mentali che bloccano l’azione, che inibiscono il coping adattivo. Il movimento fisico o mentale richiede attivazione e l’attivazione richiede motivazione, ma anche un contesto che la renda possibile, non ansiogena, non performativa, non alienante.

Provo allora a costruire un’ipotesi: l’apprendimento per imitazione, così come lo abbiamo conosciuto, sta fallendo non perché non osserviamo più comportamenti funzionali, ma perché ciò che osserviamo ci viene spesso proposto in una cornice alterata. Invece di vedere un comportamento che possiamo interiorizzare e adattare a noi, vediamo uno stile di vita idealizzato, commercializzato, proiettato su uno sfondo patinato, spesso irraggiungibile. Se non hai quell’oggetto, quel corso, quell’abbonamento, allora non sei in grado di iniziare. A questo s’aggiunge un’evidenza: abbiamo sempre meno tempo e sempre meno risorse economiche per perseguire l’obiettivo posto in modo irrealistico. Il paradosso è che ciò che prima veniva promosso come pratica collettiva e spontanea, come l’attività fisica nei parchi pubblici, nei cortili o nelle piazze, oggi è affidato al mercato, che per funzionare ha bisogno di creare un bisogno percepito come distante, complesso, spesso irrealizzabile. Così, se non posso andare in palestra, allora non faccio attività fisica e se non ho l’equipaggiamento giusto, allora non comincio nemmeno.

Questo spostamento, dal comportamento osservabile e imitabile a un prodotto desiderabile e idealizzato, ci ha allontanati da una modalità autentica di apprendimento. Pensiamo a un bambino che vede il genitore indossare la cintura di sicurezza: quello è modeling. Se poi il genitore spiega, con parole semplici, evitando la catastrofizzazione, il valore di quel gesto, allora l’apprendimento diventa profondo. L’imitazione nasce dalla coerenza tra parola e gestotra contesto e contenuto, ma se invece il messaggio arriva sotto forma di imposizione ansiogena o come proposta pubblicitaria, il rischio è che si attivi l’ansia, e l’ansia, lo sappiamo, può bloccare l’azione e disattivare il coping.

Il vero potere del modeling sta nella relazione, nell’accessibilità, nella possibilità concreta di immedesimarsi e non nel desiderio di possedere qualcosa, ma nel vedere che quel qualcosa è possibile per me, qui e ora. Forse è il momento di rimettere al centro l’umanità dei comportamenti che promuoviamo e di tornare a mostrare più che a vendere, di essere esempi, non pubblicità. Con una certa audacia, ritengo che questa riflessione possa essere estesa a tutto ciò che, nel tempo, è passato dall’essere percepito come giusto all’essere semplicemente desiderabile.

Joseph H. Pilates (2016), La vostra salutePrefazione di Anna Maria Cova. Carocci Editore.
 

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