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Sabato 22 gennaio ho avuto l’opportunità di partecipare a una Live su Instagram con Costanza Cappelli, che mi ha coinvolta a seguito di una serie di messaggi che ha ricevuto, sul suo profilo, a tema salute mentale e, nel particolare, riguardo le difficoltà che ci troviamo a vivere in questo contesto di emergenza sanitaria. La live, divisa in tre parti, è salvata sui nostri profili Instagram.

Cercherò di riassumere quello di cui si è parlato.

Ci troviamo a vivere una nuova fase di questa pandemia. Dopo un primo momento, ormai due anni fa, di grande attivazione davanti a una grave minaccia, oggi, anche grazie ai vaccini che ci proteggono, nella gran parte dei casi, dalla malattia grave e dalla morte, viviamo una fase costituita da continui cambiamenti, di abitudini e prospettive. Ciclicamente, siamo chiamati ad adattarci a qualcosa di diverso e questo ha un costo in termini di risorse personali, quindi impatta in modo significativo sul nostro benessere psicologico.
L’evento pandemia, seppur stressante, per alcuni traumatico, non determina le stesse emozioni in tutti noi.
Dire “Sono triste” e/o “provo ansia” perché c’è una pandemia, non basta a spiegare il motivo reale di quei vissuti, di tristezza e ansia, in questo caso.

Al contempo, tuttavia, è possibile rintracciare vissuti comuni a molti.
Paura, rabbia, frustrazione, angoscia, noia, irritabilità, senso di colpa all’idea d’esser stati a contatto con qualcuno senza sapere d’essere positivi, sono esempi di vissuti comuni. Normalizzarli significa riconoscere che sono reazioni normali al momento attuale, quindi alla circostanza che ci troviamo a vivere, anche se questo non esclude ci si possa attivare per comprenderli meglio e ridurne l’impatto negativo.

Due criteri utili, ai fini dell’automonitoraggio del proprio stato di salute psicologica, sono la valutazione dell’intensità e della durata di alcuni stati emotivi negativi.
Questo vale anche per i comportamenti che il vissuto emotivo conduce a mettere in atto.
Ad esempio: “Non mi va di uscire”
Perché non mi va? Ho paura di contagiarmi? Posto che il rischio zero, quindi la certezza di non contagiarmi, non esiste, quanto è alta la probabilità di contagiarmi se adotto le misure di prevenzione, faccio una passeggiata all’aria aperta, incontro persone che so che, come me, stanno attente?
Oppure: “Non mi va di uscire perché non ho le forze per farlo, ho perso l’interesse verso le attività alle quali ero solita/o dedicarmi”, o ancora “Non riesco ad alzarmi dal letto…”. In questi casi, soprattutto se questa condizione perdura da diverse settimane o addirittura mesi, è preferibile chiedere l’aiuto di un professionista.

La parte meno evoluta del nostro cervello percepisce il pericolo, basandosi su associazioni nette, assolute, grossolane; cena al chiuso con due persone = minaccia/pericolo.
Siamo chiamati quindi a fare uno sforzo, facendo quello che si chiama, in clinica, esame di realtà. Richiamare alla mente la distinzione tra rischio e pericolo, tra possibilità di contagiarsi e probabilità di contagiarsi.
I lockdown , la quarantena, gli isolamenti, per taluni sono stati un’occasione per rivedere alcune personali priorità, soprattutto in una prima fase. Sebbene qualcuno abbia riscoperto il vantaggio della dimensione casalinga, d’altro lato ci siamo accorti che, rimanendo in casa, non solo ci sentiamo più tranquilli, ma abbiamo anche a disposizione una serie di stimoli apparentemente sufficienti a ricevere una stimolazione adeguata.
Nonostante ritenga non debbano essere stigmatizzati, i social e i prodotti audiovisivi in senso ampio, non è pensabile possano soddisfare in toto l’esigenza di socialità, di confronto con l’Altro.

Cosa possiamo fare?

Rimanere sufficientemente informati, ma senza esporsi continuamente e in modo prolungato alle notizie, ai report quotidiani, ai dati.
Mantenere il focus sull’adozione delle misure di prevenzione, in modo consapevole (igiene delle mani, utilizzo della mascherina Ffp2, oltre al vaccino). Si è osservato che rimanere parte attiva, in tal senso, riduce i livelli di stress, ansia e depressione.
Coltivare la socialità; quando e se possibile mantenere una propria, anche se rinnovata, routine quotidiana, programmando attività piacevoli.
Mantenere una buona progettualità, focalizzandoci sui nostri obiettivi, strutturarli in modo realistico. “Aspetto che tutto questo finisca e solo allora ricomincerò a fare quello che facevo prima”, non è un obiettivo realistico.


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