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Domandare è lecito, rispondere è cortesia e i proverbi non sbagliano mai

Quante volte avete sentito parlare di  Abilità Sociali?
Non lasciamoci confondere dal termine “abilità”, perché, come vedremo, le “competenze sociali” non sono qualcosa con cui si nasce o a cui bisogna rinunciare per l’intera vita. È possibile allenarle, attraverso training strutturati, individuali o gruppali, condotti da professionisti della salute mentale. Capiremo perché non sia conveniente affidarsi a chi non è qualificato.

La definizione, come spesso accade, è una sintesi che integra le diverse definizioni presenti in letteratura. Definiamo Abilità Sociali  l’insieme dei comportamenti, di natura verbale e non verbale, che la persona attua nel contesto delle sue relazioni interpersonali. Tali comportamenti favoriscono l’adattamento della persona all’ambiente e la capacità di mantenere una solida rete di supporto sociale. È bene ricordare che i nostri comportamenti sono l’esito di processi cognitivi ed emotivi, in quest’ordine. Quando parliamo di comportamenti “adattivi” ci riferiamo pertanto a modalità acquisite e consolidate, anche e soprattutto a partire da un processo di consapevolezza che riduca al minimo le distorsioni cognitive comuni a tutti gli esseri umani e, di conseguenza, che aiuti a sviluppare una migliore capacità di riconoscimento e gestione delle proprie emozioni.

Molti di questi comportamenti si apprendono in famiglia, attraverso l’osservazione del comportamento di figure significative e la consapevolezza circa l’adeguatezza o meno di alcuni comportamenti quindi tramite il rinforzo di quelli validi socialmente, dove per “comportamento valido” s’intende una modalità che, tenendo conto delle differenze individuali, protegga la persona stessa e le sue interazioni, anche nel caso di conflittualità.
Anche le relazioni col gruppo dei pari, in età scolare, hanno un ruolo significativo nella maturazione di competenze emotive, cognitive e comportamentali.
Il contesto scolastico è il primo contesto al quale ci viene richiesto di adattarci, sin dai primi anni di vita. Favorire i principi della buona comunicazione, l’automonitoraggio dei propri vissuti quindi l’autoaffermazione aumenta notevolmente la possibilità di un’esperienza scolastica positiva e facilita la strutturazione di un senso del sé adeguato, coerente con i propri valori e con l’ambiente circostante.
Questo, chiaramente, in funzione del grado d’istruzione, in un’evoluzione che raggiunge il suo picco massimo negli anni dell’adolescenza. Sex Education, serie Netflix di grande successo, rende l’idea, oltre la questione dell’educazione sessuale, di quanto sia importante imparare a conoscersi attraverso le proprie esperienze, chiedendo aiuto quando quelle stesse esperienze ci confondono, portandoci a compiere scelte poco funzionali al nostro benessere.

Quali sono questi comportamenti? Tra quelli individuati da Goldstein et Al., ci occuperemo oggi di quelli relativi alla cosiddetta  assertività. Con questo termine ci si riferisce alla  capacità di una persona di riconoscere le proprie esigenze e di affermarle, esprimendole, con l’obiettivo di mantenere fede ai propri scopi e, al contempo, di coltivare una relazione positiva con gli altri. Una persona socialmente abile, in tal senso, è una persona che ha la capacità di riconoscere le proprie esigenze all’interno di una situazione interpersonale e/o di una relazione con le figure significative e di esprimerle facilitando la comunicazione, riducendo il rischio che tale espressione venga interpretata dal destinatario della comunicazione come una modalità passiva e/o aggressiva.

Il comportamento assertivo pone la persona nella condizione di agire nel proprio interesse, di difendersi senza risultare aggressiva, di sentirsi a proprio agio nell’espressione delle proprie emozioni e dei propri sentimenti, di esercitare i diritti personali senza danneggiare l’altro, ledendo i suoi diritti.
Porre un confine d’assertività tra noi e l’Altro è un buon modo per rimanere fedeli al principio “La mia libertà finisce dove inizia la tua”.
Prendiamo, come esempio, quello che è accaduto negli ultimi mesi.
Quante volte ci siamo trovati a dover gestire la tentazione di voler convincere qualcuno rispetto a ciò che, secondo noi, sarebbe stato giusto o sbagliato? Quante energie abbiamo speso per rincorrere questa nostra pretesa? Qualcuno è riuscito a convincere almeno una persona a rivedere una sua scelta, con buona probabilità fondata su una distorsione cognitiva generalizzata, nel migliore dei casi e, nel peggiore, su una paura della quale la società, esausta, non è stata disposta a farsi carico? (Non c’è giudizio, né da un lato né dall’altro). Volendo essere ottimista, escludendo da questo ragionamento le scelte del governo quindi le imposizioni e trascurando le critiche all’informazione, immagino che la statistica non deponga a nostro favore.
Quindi l’abilità sta nella rinuncia al confronto? No, l’abilità consiste nell’ esporre il proprio punto di vista, accettando il punto di vista dell’altro, non negando il disaccordo, esercitando la riflessione e il comportamento critici.
La gran parte dei comportamenti assertivi verbali si esercitano a partire da forme di comunicazione adeguate. L’obiettivo non è imparare le formule a memoria, ma fare in modo che quelle stesse forme, essendo l’esito di un buon processo di consapevolezza, insorgano spontaneamente.
Se mi arrabbio e accuso l’Altro d’avermi fatto arrabbiare, quante probabilità ci sono che quell’interazione non degeneri in conflitto?” e, ancora, “Sono più interessata a ribadire la mia rabbia e, casomai, a un confronto, o il mio intento è quello di far sentire in colpa l’altro?”. Ma, soprattutto, “Mi sono domandato perché mi sto arrabbiando?” quindi “La mia rabbia, sono sicuro sia la diretta conseguenza del comportamento dell’altro oppure scaturisce dal modo in cui io l’ho letto, interpretato?”.

Interpretiamo quello che gli altri fanno sulla base delle nostre convinzioni, dei nostri valori, ideali, delle nostre preferenze. Una maggiore conoscenza dei nostri processi cognitivi ed emotivi ci consente di comprendere meglio ciò che sta accadendo dentro di noi quindi di riconoscere che  non sarà la reazione aggressiva, né la rinuncia all’affermazione delle nostre preferenze a proteggerci dall’eventualità che al di là del nostro confine accada qualcosa che non ci piace, che ci ferisce.

La capacità di fare/rifiutare richieste è un’abilità sociale che ci consente di non trovarci nella condizione di accettare passivamente le decisioni/insistenze altrui e di chiarire ciò che vorremmo accadesse, lasciando l’Altro libero di scegliere.
Noi possiamo scegliere, gli altri possono scegliere.
Se avvertiamo la necessità di chiedere aiuto a un amico, lui sarà libero di scegliere se accettare o meno di aiutarci e, se anche lui si concentrerà sulla sua libera scelta, quindi sulla valutazione di quello che sarebbe per lui più o meno opportuno fare, le possibilità sono due: l’arrivo di un aiuto sincero, commisurato a una richiesta formulata in modo chiaro o il rifiuto motivato dall’esperienza soggettiva dell’amico, che, auspicabilmente, chiarirà i motivi di quel rifiuto. Entrambi, quindi, ci sentiremo liberi, di chiedere aiuto un’altra volta così come di rifiutare di darlo, qualora la richiesta non fosse commisurata alle risorse che abbiamo a disposizione.

Noi scegliamo e gli altri scelgono.
Agiamo, tutti, sulla base delle nostre motivazioni, delle nostre convinzioni, dei nostri vissuti che spesso sono sensibilmente distanti da quelli degli altri.
Un’azione che io leggo a pratico come una gentilezza potrebbe essere interpretata come il tentativo di sminuire la capacità dell’altro.

I confini non sono muri, barriere. Non allontanano né dividono.  Proteggono il nostro Sé e rispettano quello dell’Altro, sono la panchina dove ci si incontra per affermare se stessi, cercando, al contempo, il punto d’incontro con l’altro.  L’affermazione non è prevaricazione, se praticata assertivamente.

“Io credo che”, più che “Non è come dici tu”.
“A me piace”, più che “Devi provarlo, deve piacerti”.
“Questo tuo comportamento mi delude”, più che “Mi hai deluso”.
“Forse non ho capito bene”, più che “Ti sei spiegato male”.
“Forse non mi sono spiegato bene”, più che “Non hai capito”.

“Non sei tu, sono io”, manifesto dell’amore non corrisposto è, in realtà, una formula che funziona, benché sia difficile da accettare.
Non sei tu, sono io, significa che tu non puoi fare nulla perché per me le cose cambino e, sicuramente il senso d’impotenza ti farà vivere dei momenti di difficoltà, ma quanto sarebbe più disonesto affidarti la responsabilità del mio vissuto che, a conclusione e per ribadire, non dipende esclusivamente dai tuoi comportamenti?