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Le esigenze del terapeuta e la relazione autentica

Il terapeuta è un essere umano e, anche se ho creduto sarebbe stato ridondante specificarlo, sospetto non sia davvero così. Non lo scrivo perché ritengo di dover giustificare alcune mie scelte né perché ho avuto la percezione di non essere capita o rispettata, ma perché ritengo che ribadirlo sia utile anche al fine di perseguire gli obiettivi che la psicoterapia si propone di raggiungere.
Quando rispondo alle domande su Instagram o parlo con chi mi chiede informazioni su ciò che ruota intorno al mio lavoro, sempre più spesso noto una tendenza a sospettare di alcuni comportamenti del terapeuta, dall’andare in bagno durante la seduta all’annullare le sedute a causa di un imprevisto. Sono certa questo dipenda anche da un utilizzo poco attento da parte di alcuni colleghi dei loro canali social, specie quando, seppur conoscendo la variabilità e complessità dei vari setting possibili, tendono a fornire indicazioni universali, sulla base delle loro scelte o delle loro preferenze.
Il primo passo per entrare in relazione con qualcuno, anche se si tratta di una relazione terapeutica, è rinunciare all’autoreferenzialità, alla tentazione di pensare che quello che succede tra noi e l’altro parli solo di noi. Tale rinuncia è anche presupposto del cambiamento, perché ci ricorda che possiamo scegliere di interpretare quello che succede dentro e fuori da noi in modo utile, funzionale e flessibile più che come qualcosa di cui siamo vittime.
L’alleanza terapeutica, fondata sulla fiducia, consente al terapeuta di sentirsi libero di soddisfare le proprie esigenze e al paziente di riconoscerle come tali.

Il terapeuta cerca di soddisfare i propri bisogni anche a tutela del setting e del servizio che offre. Da paziente non sarei felice di sapere che chi è davanti a me è concentrato sul timore di essere giudicato se andasse in bagno anziché sul sentiero che stiamo percorrendo insieme.

Di recente mi è capitato di dover annullare alcune sedute a causa di alcuni problemi di salute gestiti tramite Servizio Sanitario Nazionale, quindi con poco margine di scelta di tempi e modalità, determinati, come è ovvio che sia, anche dal grado urgenza.
Come psicoterapeuti, possiamo scegliere se entrare nel dettaglio di ciò che ci costringe a mettere l’attività clinica in pausa oppure no. Nel caso della gravidanza e del puerperio, ad esempio, l’autorivelazione è inevitabile, così come ogni volta che il cambiamento è visibile. Motivare l’annullamento improvviso delle sedute rivelando, seppur mantenendosi sul vago, un proprio problema di salute, se da un lato giustifica l’indisponibilità del professionista in modo inattaccabile, dall’altro prevede la presa in carico della reazione emotiva del paziente, che è legittimato a preoccuparsi per la persona che ha davanti nonché per sé stesso, in relazione al suo stato di salute psicologica quindi alla necessità di continuare, senza imprevisti di sorta, il suo percorso. È addirittura possibile decidere di agire diversamente a seconda del paziente quindi della relazione terapeutica nonché dello stato del percorso.

Il terapeuta, nella gran parte dei casi, non è contento di dover annullare gli appuntamenti perché la vita privata reclama anche il tempo dedicato al lavoro per qualsivoglia motivo. La riprogrammazione dell’appuntamento dipenderà dal modo in cui è strutturata l’agenda, se al completo oppure no, se più o meno flessibile. A differenza del medico, in ospedale o di famiglia, il terapeuta non è sostituibile, fatta eccezione per i casi in cui si rende necessario sospendere l’attività quindi si sceglie di inviare i pazienti per i quali non è indicato attendere che si torni disponibili.
La pausa dalla psicoterapia a frequenza settimanale, anche durante l’estate, può essere un momento delicato, ma è un’opportunità in senso assoluto, quella di valutare l’andamento del percorso, l’autonomia acquisita di gestire il proprio vissuto facendo affidamento sulle proprie capacità quindi, eventualmente, ciò su cui continuare a lavorare insieme.

La relazione è uno strumento di cura, la seduta è uno spazio-tempo protetto da un rapporto di cooperazione e assenza di giudizio, non è un artificio. L’artificio ostacola l’alleanza e la fiducia più di quanto faccia la verità e questo è utile ricordarlo nel caso di ogni relazione nella quale investiamo risorse, emotive in modo particolare. La relazione autentica è una cura e non possiamo fare l’errore di confondere l’autenticità con la confidenza.  

Quand’è, allora, che la scelta del terapeuta denota poca professionalità? Quando si sottrae alla cura della relazione.